Kurt (1967 – 1994), Segovia (1893 – 1987)
Inizio a scrivere questo post con il sorriso che mi genera il titolo stesso. Per giustificare la presenza di questi due nomi, sicuramente agli antipodi per quanto riguarda tutto l’approccio alla musica, cito la celebre frase nell’intervista che Chuck Crisafulli fece per la rivista Fender Frontline Magazine nel 1994 a Kurt Cobain.
CHUCK: “Is it always a pleasure for you to crank up the guitar, or do you ever do battle with the instrument?”
KURT: “The battle is the pleasure. I’m the first to admit that I’m no virtuoso. I can’t play like Segovia. The flip side of that is that Segovia could probably never have played like me.”
In italiano, per rendere bene il tipo di domanda che gli fu fatta, bisogna ristrutturare la stessa in questo modo, più o meno:
Chuck: “Suonare la chitarra rappresenta per te un piacere o, come si dice, fai a botte con lo strumento?”
E la risposta:
Kurt: “Il piacere è il farci a botte. Sono il primo ad ammettere di non essere un virtuoso (della chitarra). Io non so suonare come Segovia. Ma d’altra parte probabilmente neanche Segovia avrebbe mai saputo suonare come me.”
[Io non posso suonare come Segovia. Ma l’altro lato della medaglia è che neanche Segovia avrebbe mai potuto suonare come me.]
Stando con un piede nel mondo della chitarra classica e con l’altro in quello della chitarra elettrica ho sentito decine e decine di volte questa frase, ovviamente sempre, o quasi, usata in modo del tutto improprio, mancando in pieno il vero nocciolo della questione che è: il proprio stile non è confrontabile con quello di nessun’altro. A volte il proprio stile non è confrontabile nemmeno con se stesso dopo diversi anni di attività. Infatti ho sentito dire a tanti musicisti “Se registrassi oggi quel brano non lo suonerei assolutamente più così” e capita anche che alcuni musicisti, dopo diversi anni, registrano gli stessi brani per la seconda volta, come nel caso di Glenn Gould che registrò le Variazioni Goldberg per la prima volta nel 1955 e poi nel 1973.
Il punto, come dicevamo nel titolo, è l’essere consapevoli di sé stessi per trovare (scoprire/scegliere) il proprio stile.
Per cui, tornando alla frase in questione, il punto non è tanto il fatto che Cobain voglia dire di essere “migliore” di Segovia (come in tanti hanno detto) ma, ovviamente, “diverso”. Kurt Cobain sapeva serenamente di non essere un guitar hero, come afferma egli stesso, e in più, citando Segovia nella sua risposta non fa altro che riconoscerne la grandezza, come massimo esempio di uno stile e un approccio alla musica opposto al suo.
Personalmente non voglio dare dei giudizi tra i due musicisti in questione perché non avrebbe nessun senso ma vorrei solamente spendere due parole sul concetto interessante che ne esce fuori: l’unicità di ognuno, in cui entrambi i soggetti citati sono stati esempio, provando a far conoscere un po’ meglio entrambi (con più riguardo verso Cobain poichè, in generale, è sempre stato un po’ troppo “maltrattato” nei giudizi).
Ovviamente esistono generi diversi, culture diverse, stili diversi e in ognuno di questi “mondi” è importante trovare il proprio percorso genuino e sincero. Riscoprire la propria unicità (non sto parlando di talento) nel proprio percorso musicale è sempre e comunque importante perché ci fa capire quali sono i propri punti di forza.
In questo caso specifico abbiamo da una parte un ragazzo morto prestissimo (1967-1994) a soli 27 anni, diventato un’icona del rock e dall’altra quello che oggi viene considerato perlopiù il chitarrista classico più importante del ‘900 e probabilmente della storia della chitarra (1893 1987) che ha portato la stessa chitarra classica ad un livello di dignità pari agli storici e “nobili” strumenti classici, come il pianoforte o il violino.
Abbiamo due personalità, ognuna nel proprio settore, importanti e per certi aspetti determinanti del loro tempo, appartenenti sostanzialmente a due mondi paralleli ma completamente diversi. Due generazioni che si sono toccate le mani ma che probabilmente non si sono mai capite e/o accettate, spesso rifiutandosi atavicamente a vicenda, basandosi su pre-concetti, basandosi su un rifiuto aprioristico dell’altro. Come un nipote che critica violentemente il nonno che non conosce e un nonno che rifiuta il mondo apparentemente incomprensibile, futile e vuoto del nipote.
Quando Cobain nasceva nel 1967 negli States, Segovia aveva già più di settant’anni; mentre quando il Maestro moriva nel 1987, Cobain ventenne fondava i Nirvana, che nel 1991 sarebbero esplosi con il singolo Smells like teen spirit eletto colonna sonora, suo malgrado (è così!), di un’intera generazione, la cosiddetta: generazione X.
Entrambi si definirono perlopiù autodidatti (se per Kurt fu sostanzialmente vero, per Segovia diversi studiosi dissentono sulla veridicità di tale autoaffermazione) e ognuno con il proprio strumento e il proprio mondo interiore e culturale mossero i loro passi (decisivi), decisi a portare il loro pezzetto di storia. In diverse interviste si evince la risoluzione di Kurt a voler cercare un linguaggio sempre genuino e innovativo. A tal riguardo si può citare questo stralcio da un’intervista per Rolling Stone subito dopo il concerto del 25 ottobre 1993 a Chicago.
ROLLING STONE – Considerate le tue riserve a suonare ancora Smells Like Teen Spirit e a riscrivere in continuazione il medesimo genere di canzoni, hai messo in conto che un giorno i Nirvana non esisteranno più?
KURT COBAIN – È quello che ti ripeto dall’inizio (di questa intervista). Siamo arrivati al punto in cui le cose cominciano a farsi ripetitive. Non credo che il gruppo durerà più di un altro paio di album, a meno che non ci mettiamo a sperimentare seriamente. Non voglio fare uscire un altro disco uguale agli ultimi tre. “Grunge” è un termine ingombrante quanto “new wave”. Non ne esci. E ormai è superato. Bisogna correre dei rischi, sperare di incrociare i gusti di un pubblico completamente diverso rispetto a prima, oppure che lo stesso pubblico di prima cresca insieme a te.
ROLLING STONE – E se ti diranno: “Questo non ci piace, levatevi dai piedi”?
KURT COBAIN – Oh beh. Per me possono pure andare affanculo.
E con tale affermazione chiudeva l’intervista. Il centro del suo scrivere canzoni era quello di riuscire in qualche modo a comunicare alcune sue situazioni di disagio interore, vivendo in una società che non amava e di cui ne subiva la negatività. “Figlio d’arte” del malessere della generazione del secondo ‘900, quella generazione che raccolse l’attenzione dei media tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, guadagnando la reputazione stereotipata di apatici, cinici, senza valori o affetti [wikipedia] nati e cresciuti dopo la seconda guerra mondiale tra il ’64 e il ’79 tra la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Proveniva, come la maggior parte dei bimbi di quel periodo (a quanto pare), da una famiglia divorziata. Aveva otto anni, padre meccanico e madre che si dedicava a vari lavori. Il divorzio e il disfacimento della sua famiglia lo toccarono profondamente. Disagio mostrato e “documentato” nei muri del suo bagno dove scrisse, a otto anni, “Odio mia madre, odio mio padre, mio padre odia mia madre, mia madre odia mio padre, è semplice: vogliono che io sia triste”.
Cercava di riflettere lui per primo e tentava, al meglio delle sue possibilità, di far riflettere quella parte di società che vedeva contraddittoria e superficiale. Non mancava di criticare nemmeno se stesso, sminuendo, quasi ogni volta, il suo status quo di rock star osannata. Riguardo a questo e al singolo Smells like teen spirit possiamo riportare quest’altro stralcio dalla stessa storica intervista di Chicago, dopo un concerto andato male per la terribile acustica del posto e i continui problemi tecnici alla sua chitarra e alle casse spia.
ROLLING STONE – Serata storta a parte, non avete eseguito Smells Like Teen Spirit. Perché?
KURT COBAIN – Ci mancava solo quella (sorride con una smorfia). Non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Non riesco neppure a ricordarmi l’assolo di chitarra. Ogni volta devo starmene seduto cinque minuti buoni in camerino per riuscire a ricordarmelo. Mi piace sempre suonare Smells Like Teen Spirit, ma è diventato quasi imbarazzante. Si sono tutti fissati su quella canzone, perché hanno visto il video su MTV un milione di volte. Gliel’hanno ficcata a forza nel cervello. Sono convinto di aver scritto molti altri pezzi altrettanto buoni, se non migliori: tipo Drain You, di cui, a differenza di Teen Spirit, non mi stanco mai. In serate di merda come questa mi viene solo voglia di buttar via la chitarra e filarmela. Quando ho scritto Teen Spirit, cercavo di comporre la canzone pop definitiva. Fondamentalmente si tratta di uno scopiazzamento dai Pixies. Abbiamo usato la loro alternanza di soffice-tranquillo e duro-rumoroso. In fondo Teen Spirit è solo un riff banale, tipo i Boston o Louie Louie. Quando l’ho fatta sentire al gruppo per la prima volta, Krist mi ha ha detto: «Ti prego, stai scherzando vero?». Poi però gliel’ho fatta suonare per un’ora e mezza di fila.
Siamo lontani mille miglia da quel Kurt Cobain dipinto e presentato come lo sbruffone biondo che “sfida il grande Segovia alla chitarra e che si crede una rock star”. Ha sempre dichiarato di non aver mai avuto l’ambizione di cantare, ma solo di «suonare la chitarra ritmica, nascosto in fondo al palco. Ma alle superiori, mentre mi esercitavo nella mia cameretta, ebbi almeno l’intuizione di scrivermi da solo le canzoni». Il suo era un talento ribelle, anche a se stesso, e lui, per primo, faceva fatica a comprendere se fosse una benedizione o maledizione.
Dall’altra parte troviamo un musicista del vecchio continente proveniente più precisamente dalla Spagna, nato alla fine del 1800 (1893) quasi ad incarnare, anche sulla carta, la figura di colui che porta con se un’antica eredità e la porta, rinnovata e unica, in un nuovo secolo. Un 1900 così pieno di eventi decisivi per il mondo e per l’umanità. Un secolo che pur essendo il più documentato della storia, rimarrà probabilmente il più oscuro incomprensibile per l’ampiezza e la complessità degli eventi accaduti su tutti i settori. Ad ogni modo il nostro chitarrista spagnolo era capace di dare vita da solo, con una chitarra classica (non amplificata), a concerti che sconvolgevano e toccavano profondamente i presenti. I suoi concerti furono delle novità senza precedenti, a tal punto, che grazie alla sua opera instancabile, la chitarra classica stessa fu innalzata e riconosciuta come uno strumento da concerto, al pari, come dicevo, di strumenti come il pianoforte, il violino, il quartetto d’archi…
La sua forza d’animo e la sua innata autorità furono evidenti sin dalla sua giovinezza. Perfettamente inserito nell’alta società della Madrid del tempo, riuscì prestissimo a conquistarsi la stima di intellettuali, artisti, organizzatori di concerti, politici. Angelo Gilardino scrive, in un numero della rivista Suonare del 2016:
“Un compositore di cultura cosmopolita qual era Alexander Tansman (1897 – 1986), dopo quasi trent’anni di dimestichezza con Segovia,e non sull’onda dell’entusiasmo procuratogli dal loro primo incontro (che aveva avuto luogo a Parigi nel 1924), dedicò nel 1953 la ‘Pièce en forme de Passacaille’ – una delle sue opere per chitarra di maggior ampiezza e profondità – <<A Andrés Segovia, l’unique>>. Non scrisse, Tansman, <<il massimo>> o <<il migliore>>, ma <<l’unico>>. Uomo di penna , egli sapeva dosare accuratamente la parola e, puntando l’indice sull’unicità di Segovia, riconosceva in lui qualcosa che non aveva precedenti, che non avrebbe avuto seguito, e che non era comune, nemmeno in parte, a nessun altro interprete. Tansman si riferiva alle peculiarità dello stile interpretativo di Segovia, al suo modo di essere chitarrista e musicista, ma non era mancato, prima di lui, chi aveva visto nel fenomeno Segovia un potere che travedeva i confini dell’ambito musicale. Il compositore francese Pierre-Octave Ferroud aveva infatti scritto, commentando una delle prime esibizioni parigine del chitarrista: <<Il signor Andrès Segovia fa per la Spagna, con la sua chitarra, più del generale Primo de Rivera con i suoi decreti legge>>. Al di là della boutade, si coglie, nell’affermazione di Ferroud, la percezione dell’enorme influenza che Segovia esercitava non soltanto sugli ascoltatori dei suoi concerti, ma su tutta l’opinione pubblica. Ancora lungi dal successo che avrebbe fatto di lui una ‘star’ nel mondo della musica, il giovane chitarrista era già considerato dal prestigio di un’autorità che si esplicava al di là delle sale da concerto.”
In entrambi i casi abbiamo di fronte delle unicità riconosciute e celebrate. La prima bruciatasi giovane e la seconda sviluppatasi in quasi cento anni (un secolo) di vita. Entrambi idolatrati e osannati. Sicuramente Kurt molto più criticato che Andrès sia in vita che dopo la sua morte. Credo di non essere in grado qui, in poche righe a scrivere quanto Segovia abbia fatto per la chitarra classica, ma per i più interessati rimando allo stesso libro di Angelo Gilardino, “Andrés Segovia: l’uomo, l’artista”, Edizione Curci, 2012.
Lo spagnolo fu artefice di 26 dischi circa per le più importanti case editrici e la impronta stilistica fu così forte, nel suo tempo, che i riflessi perdurano imperituri sino ai nostri giorni. Infatti possiamo incontrare suoi proseliti estasiati e uno sciame indistinto di chitarristi che scrivono nelle proprie biografie “considerato uno dei migliori allievi di Segovia”, avendolo magari anche solo incontrato per un giorno. Senza parlare di chi ha studiato con un chitarrista che magari fece un corso di qualche settimana con Segovia (divenendo così automaticamente, per sacra induzione, “uno fra i migliori allievi di Segovia”) e di conseguenza lo possiamo sentire affermare “sono della scuola di Segovia”, come se il solo citare il suo nome sia garanzia indiscutibile di qualità ed eccellenza, ovviamente senza nessun riscontro pratico di ciò nell’atto del suonare o dell’insegnare.
[CURIOSITA’]
Kurt Cobain al 12° posto della classifica dei 100 migliori chitarristi proposti dalla rivista Rolling Stone con la seguente motivazione sotto il suo nome:
[La parola “grunge” è sempre stato uno schifoso e limitato modo per descrivere la musica che Kurt Cobain faceva con i Nirvana e, in particolare, il suo modo e ambizione di essere chitarrista. Con Nevermind, nel 1991, si annunciava la morte della chitarra rock da stadio del 1980. Cobain ha anche riconciliato le sue molteplici ossessioni – i The Beatles, l’hardcore punk, il fatale folk blues di Lead Belly – in un genuino rock alternativo che è sbocciato negli eccentrici, coinvolgenti e alternativi brani: “Smells like teen spirit” e “Come as you are”. Registrato sei mesi prima del suicidio di Cobain nel 1994, l’ MTV Unplugged a New York rivela, in termini squisitamente acustici, la qualità e l’amore della melodia che ha illuminato la sua angoscia.]
Dietro di lui, nella classifica sopracitata, troviamo Jeff Beck, Carlos Santana, Brian May (39°), George Harrison, Mark Knopfler, Frank Zappa (45°), John McLaughlin, Ritchie Blackmore (55°), Eddie Van Halen (70°), David Gilmour (82°) ecce cc…
Dinnanzi a queste classifiche da bar mi sono sempre chiesto non tanto il senso (nessuno!) quanto CHI possa scriverle. In questo caso è stato David Fricke, giornalista storico della rivista Rolling Stone, penna anche per Circus e Good Times. Sua è l’intervista a Kurt prima che morisse e sempre sue sono le firme dietro ai documentari “Classic Albums” su Pink Floyd – The Dark Side of the Moon, Cream – Disraeli Gears, Def Leppard – Hysteria, Nirvana – Nevermind, Metallica – Black Album, Peter Gabriel – So, Frank Zappa – Apostrophe e Over-Nite Sensation, Rush – Moving Pictures e 2112 e tante altre cose interessanti. In definitiva possiamo dire che i suoi gusti possono essere non condivisi (De gustibus non disputandum) ma non era di certo l’ultimo idiota arrivato.
Intera intervista: http://www.burntout.com/kurt/interviews/int1.html
Traduzione in italiano: http://nirvanabeeswax.altervista.org/interkurt.htm
Altra intervista in inglese https://www.guitar.com/articles/nirvana-kurt-cobain-interview